Che ogni essere umano è diverso e che ognuno può essere speciale è cosa nota ed anche una retorica che abbiamo sentito tante, forse troppe volte.
Che la corsa possa essere una cura adatta a tutti è invece argomento molto complesso su cui non esiste una risposta univoca proprio come le differenze che ci distinguono gli uni dagli altri, pur essendo tutti accomunati e tutti, per citare lo stracitato brano, divenuto libro, NATI PER CORRERE.
Per descrivere cosa mi sta dando la corsa potrei partire da molto lontano ripescando nella memoria di quando da ragazzino correvamo a perdifiato ed io ero orgogliosamente sempre tra i più veloci, quasi come se fosse sempre stato ovvio che potesse piacermi correre. La verità è che, purtroppo, non sapevo cosa volesse dire correre fino a pochi anni fa e l’ho scoperto davvero solo in maniera fortuita grazie ad amici (mio cugino Andrea, il mio amico Umberto, il mio amico Paolo e mi fermo perché il numero è cresciuto esponenzialmente, grazie alla famiglia Camelot).
Correre in maniera strutturata, come dico per distinguere l’uso casuale che facevo della corsa in età giovanile: musica nelle orecchie e tutta birra fino a che non sei esausto (che avveniva ovviamente molto presto).
Ad oggi la corsa è un’ossessione anche se temo con questa descrizione di mancarle di rispetto. La chiamo così perché la mia compagna di vita mi ha detto una cosa che sicuramente tanti altri con meno confidenza hanno pensato senza dirmi: “parli solo di corsa ultimamente”. Il che è indubbiamente vero, ho riflettuto e mi sono anche un po' vergognato delle molte telefonate o discorsi con amici in cui in un modo o nell’altro infilo dentro la corsa, anche per questo credo di esserne ossessionato. La mia ossessione la vivo come tutte le grandi passioni/ossessioni, cioè con una vita interiore oltre che esteriore, dentro di me correre è tanto e questo a prescindere dalle piccole gratificazioni dei risultati personali, la quantità di motivi a favore di quest’azione è spropositatamente grande per me.
E’ poco che corro, lo so, a Novembre sarà un anno di Camelot e me lo rammento quando serve, perché ancora non ho capito tutto e forse mai lo capirò. Ho vissuto poche esperienze ma molto significative a livello personale, sia in gara che in allenamento ma la cosa più importante di tutte che mi ha donato questo sport è di avere dei nuovi bellissimi sogni.
Ne ho di inconfessabili che cullo come piccole creature (a volte un po' spaventose) nella mia mente e di più prossimi e realistici per i quali mi preparo, consapevole che ogni volta che scelgo di mettere le scarpe per fare un’uscita che sia un lento da 10km, un fartlek, un collinare, un lungo, una gara, la mia vittoria è esserci, volere quella strada, quel ritmo e viverlo con tutto me stesso.
Non fraintendetemi non sono certo immune alle delusioni, la più recente è stata banalmente non mantenere un ritmo nel test Vdot (5km) di 4m/km (alla fine la media 4:07 ossia la fine del mondo) e il mio prossimo obiettivo che sto mettendo ancora a fuoco sarà la maratona di Firenze dove chissà se sarò soddisfatto di me sotto il profilo atletico.
Quello che voglio dire è che non è il risultato finale a darmi la “benzina” per uscire il giorno dopo e questo secondo me succede a molti se non a tutti i podisti amatori. Fondamentali per la mia esperienza sono le persone che ho potuto incontrare e non so se la corsa renda migliori ma il numero di belle persone che mi fregio di chiamare amici con cui corro è statisticamente molto alto.
Vorrei chiudere con una citazione di Victor Hugo: Non c'è niente come un sogno per creare il futuro.