Da ZERO a 42KM di lucida follia

di EDWIGE NANIA

Zero come infortunio, dolore sordo che ti sveglia anche di notte, che rende difficile anche camminare. Zero come nessuna prospettiva di rifare mai più quello che amavi e ritenevi ormai scontato, dopo lo tsunami Covid, anche un po’ odioso.
Odioso, si, alzarsi alle 5 del mattino e correre incontro all'alba, insopportabile allenarsi sotto la pioggia, al freddo, persino sulla neve, le due volte che ha sorpreso Roma.
"Ma ero PAZZA?!?" mi dicevo. Ah, sì che lo ero...
Matta con l'accuso, pazza da legare e gettare in un sacco con i gatti come facevano gli antichi romani assieme a tutti gli altri runner sciagurati che saltellano per le vie delle città.
Ah, quanto li odiavo adesso che il mio piede mi ricordava in ogni istante la sua grama esistenza accusandomi di averlo martoriato su e giù per i 3 Comuni della ridente Tuscia, incurante delle sue richieste di aiuto.
“Va a farti vedere da uno bravo brutta zampa, che io mi devo prendere l'ennesimo piatto” dissi, poi il piatto me lo potevo tirare in testa! Zoppicavo.
Fine della gara e di tutto.
Blackout.
Li odiavo e li invidiavo, piano piano dimenticavo di aver fatto tante gare... non potevo essere io.
Maratone? Adesso non riuscivo a fare nemmeno un chilometro senza piangere in giro per Cracovia, disperando di non poterla vedere dal basso del suo invitante lungofiume.
Il runner è un cyborg che vede il mondo con i suoi superpoteri, eh sì. Invece, io ero tornata un essere normale.
Ma non smettevo. Provare a guarire... Cercando di immaginare che prima o poi quel superpotere sarebbe tornato...
Scrocchiamenti, raggi laser, raggi gamma, sedute spiritiche. Nulla di intentato... Ma ecco che, dopo mesi, la zampa inizia a mollare la presa e, giorno dopo giorno, si lascia dimenticare per un po’.
Finalmente quello zero diventava timidamente un: "corri 5 km partendo dal nulla" tratto con modestia da una nota rivista. Sì, mi tratto da principiante e ricomincio da capo.
Con terrore e ancora dolore, qualcuno mi dice che potrei.
Poi, tra lo stupore di tutti, mentre arranco in una tapasciata come la controfigura anziana di Rocky Balboa che esulta dopo aver inanellato 3 km alternati con camminata, me ne esco con un: "ma io dovevo correre la maratona a Francoforte".
Kaboom!
Persino il mio riflesso nello specchio mi deride, la parte più sana della mia coscienza mi chiede "ma ‘ndo vai?"
So bene, anzi benissimo, che è una follia allucinante, organicamente improbabile, con tempi inesistenti anche solo per preparare una mezza. È già metà settembre e ancora sguazzo nel "corri da 5 a 10 km" mentre la Regina Tedesca mi attende fissandomi torva per il 29 ottobre. Ma dai…

Così, un bel giorno, correndo decido di buttare all'aria il programmino e libero la testa. Cosa amavo in tutto questo? Perché mi è mancato? Perché avevo il cuore spezzato anche se ho maledetto più i km percorsi di quanti ne abbia mai graditi? “Oh, no... sto superando i 7 km consentiti...” ecco che vado a 8. Nei prossimi giorni arrivo a 10. “E che sarà... ne mancano solo 32 e spicci, no?!”
Disgraziata!
Da qui, inizia una escalation di lucida follia.  Alla paura si sostituisce piano piano la gioia... ci riprendo gusto e anche se vado più lenta di un bradipo al quale hanno sparato alle zampe, mi diverto e mi convinco che "in qualche modo" quella medaglia al collo me la metterò. Camminando, strisciando, rotolando. Tempo limite 6 ore, si potrebbe fare! Lo voglio. Voglio rivivere quel batticuore. Ogni maratona è unica, un viaggio unico dentro sé stessi, circondati da un turbine di emozioni ed esperienze. Lo voglio, la sento di nuovo, mi chiama! Esattamente come la prima volta, nel 2012, quando senza un perché, dopo ben 2 anni di corse, sentii che era il momento, Olè!
“Livello Neuro” da ricovero immediato.

Qui compare il mio Team fantastico, Mauro mi accompagna per i primi 15 km da quello zero, il primo lunghetto buttato così sul piatto e subito raccolto, io ho estratto il numero alla roulette e lui me li ha fatti fare TUTTI!
Con noi, la bionica Adelina per la prima metà, a ricordarmi che la corsa è grinta, gioia e, appunto, lucida follia, consapevole di star commettendo una grande cxxxata, ma seguendoli come un cane dietro ad un bastone lanciato a Mirabilandia.
Da 15 salto a 22, ma ne volevo fare 30. Prima batosta giusta e sana. Mauro mi avvisa: “se intera vuoi arrivare, ogni 3 km dovrai camminare “
Ok ci riprovo. Da 22 a 33. Volevo farne 30. Sono scoppiata a 26 camminando 3 minuti ogni 5 km. Ne ho fatti 33. Chi se ne importa! Penso solo al 33 con tutte le metafore e immagini che collego al numero: 33 trentini; dica 33; gli anni di...
Ok stavo morendo, ma partivo da zero.
TRENTATRÈ!
I miei compagni Camelot iniziano a crederci, forse più di me, mentre capisco dove ho sbagliato: studio tattiche; immagino le camminate; invoco Galloway.
Ci credo!
Così arrivo. Lasciandomi alle spalle le ultime due settimane esplosive, fatte di allenamenti bi-giornalieri e di una mezza, corsa in gara senza alcuna pretesa se non di finirla, senza camminare.
MATTA! Mi rendo conto che da zero in 1 mese e mezzo sono arrivata a fare circa 84 km solo l'ultima settimana.
Favoloso… Sì! per mettere le stampelle a vita. Sciagurata! Mentre tra mille improperi silenziosi dalla mia subcoscienza sana, volo in terra teutonica.

Di nuovo insieme a migliaia di persone, di nuovo con il cuore a mille. Passo felice sotto l'arco di partenza della gara per me più emozionante, mentre realizzo che avrò tanto tempo:
42km195mt.
Aspetto il muro, mentre affianco una ragazza vestita da carota e noto alcuni in maglietta con sopra una banana, guardo tutti i gruppi musicali che suonano per noi, in giro, e saltello a ritmo dei tamburi. Aspetto il muro quando puntuale arriva la pioggia che implacabile ci trasforma in tanti pupazzetti di pongo semi-liquefatto che avanzano sgraziatamente.
Le tattiche? Le camminate? Dimentico tutto, corro a sensazione, curandomi solo di rallentare quando mi accorgo di scendere sotto un limite che mi sono imposta dopo le prove di lungo.
Mi concedo tre soste alle grandi scatole chimiche, restando sola per qualche secondo con la mia scelleratezza.
Ormai sono in gioco! In me riecheggiano le parole di Adelina: "pensa a quando ti troverai al 30esimo e sarai ancora in gara" ci penso, ci penso... ci arrivo! Stupidamente metto il “turbobradipo” e acchiappo un tizio con una banderuola con su scritto "4.30". Mi dico che non può essere perché credevo di navigare sulle 5 ore, poi penso “sarà scoppiato come quello a Roma” alla mia prima maratona. Mi mollò dicendo “tu vai va...” come nella struggente scena finale di un film di guerra nel quale tutti muoiono mentre tu cerchi di salvarti.
“Ok, anche questo è scoppiato!” allora abbassa ‘sto cartellone! Siete teutonici e dovreste essere precisi, no?!

Invece lui era preciso, come da tradizione. Tanto che mi riaffianca con un plotone di anime allegre che saltellano ritmicamente con lui mentre io, al 39esimo, capisco che è arrivato un “muretto”; quindi, li lascio andare come coniglietti rosa felici e saltellanti.
Piangendo sotto il diluvio, che tanto non si vede, finisco la mia gara godendo masochisticamente di ogni metro. 39, 40, 41, piango a dirotto come la pioggia sopra di noi. Rido, ancora rido, rido come una PAZZA!

Mi accingo ad entrare nel salone delle fiere, un arrivo maestoso fatto di tamburi e cheerleader, scorgo il mio compagno in prima fila che mi incita e mi fotografa.  Mauro me lo aveva detto “Vale la pena anche solo per l'arrivo che farai!”
4ore35minuti.
Ero uno zero e ci ho messo quanto alla mia premiere, quando ero più allenata, giovane e sana.
Una felicità che non si può descrivere senza scivolare nello zuccheroso, che con la pioggia non va d'accordo, come lo zucchero della mia bomba che conservavo dal ristoro, aggirandomi come una perfetta idiota che non capisce più nulla, se ne è andato tutto via.
Io no.
Sono ancora qua e sono fiera di aver fatto parte della nutrita schiera di insospettabili individui che tra la sera di domenica e la mattina di lunedì hanno camminato per Francoforte come reduci di guerra: zoppi, con le gambe tremolanti, di forma a X, incapaci di salire o scendere le scale senza sembrare pinguini con la paresi.
Fiera di essere tornata a far parte di questa lucida follia, che occupa la testa di chiunque si emozioni la mattina a correre incontro al sole che nasce, mentre il resto del mondo resta ancora candidamente addormentato.
Grazie Camelot per aver accolto la mia rinascita come runner!