La motivazione del limite

di GIOVANNI DILILLO

“Vivo per i momenti in cui riesco a sfidare i miei limiti. Non è mai garantito, non è mai semplice. Oggi è stata una giornata dura per me. Ho spinto più forte che potevo, ma a volte bisogna accettare che non era il giorno giusto per alzare l’asticella ad un’altezza maggiore…nello sport si vince e si perde e c’è sempre un domani per accettare una nuova sfida. Eccitato per quello che mi aspetta”.
Comincio da questo pensiero, del più grande maratoneta vivente, nonché detentore del record sulla distanza, premettendo e sincerando tutti che nemmeno minimamente voglia rapportarmi a lui, ma è bello identificarmi in un suo pensiero, trasporlo nel mio piccolo, nella mia vita e nel mio modo di essere.
Dopo la maratona di Milano dello scorso 2 aprile, mi sentivo demotivato, scarico mentalmente, inappagato per quanto performato, deluso di non aver gestito nel modo giusto la gara e non aver reso produttivi tutti i miei allenamenti. Mi sentivo in colpa verso chi mi aveva dispensato consigli ed attenzioni in quei mesi ed in particolare nei giorni prima della gara. Avrei dovuto raccontare il mio percorso di crescita fino ad arrivare al mio personal best in maratona, lo avevo promesso, ma non ne avevo più voglia.
Quando ho letto il pensiero di Eliud Kipchoge, a conclusione della sua maratona di Boston, ho pensato che se un campione riconosce i propri i limiti, chi crede fortemente nei suoi obiettivi può accettare una sconfitta, riprovarci e proiettarsi con più fermezza e convinzione verso il prossimo traguardo.
È così, quindi, ho deciso che raccontandomi avrei trovato ulteriore motivazione in me stesso, perché è dai miei limiti mentali e fisici, dalle mie debolezze e dalla mia voglia di affrontarle che si è appiccato questo fuoco che non tende a spegnersi, ma piuttosto ad alimentarsi ed essere fonte di combustione per il sentimento e la passione che ho verso questo sport, che mi infiamma di emozioni e soddisfazioni.
Subito dopo la Maratona di Roma del 19 marzo, a fronte di importanti progressi ottenuti in gara, rispetto ai miei tempi precedenti, mi era stato chiesto di scrivere il mio percorso di preparazione e di allenamento avuto nell’ultimo periodo. Avevo però declinato dicendo che non avevo fatto ancora nulla, dovevo rimanere concentrato su quello che sarebbe stato il mio vero obiettivo della stagione. Quello per cui mi ero allenato in solitudine o con il mio amico Antonio, di mattina prima dell’alba o di sera dopo il lavoro, con il freddo di Milano o con il sole di Roma, quello per cui avevo catalizzato ogni energia, ogni motivazione, ogni voglia di dimostrare a me stesso da dove ero partito e dove ero arrivato.
La gara giusta per concretizzare i miei obiettivi sarebbe stata a Milano il 2 aprile, due settimane dopo la maratona di Roma, conclusa in scioltezza in 3 ore e 10 minuti, migliorando di oltre 18 minuti il mio precedente record in gara, ottenuto a fatica a Firenze qualche mese prima a fine novembre 2022. Sapevo che valevo e potevo fare di più di quel tempo ottenuto come allenamento lungo pre-maratona.
Mi immaginavo per le strade di Milano correre felice e determinato fino al traguardo, dove sarei esploso in tutta la mia gioia e la voglia di aver dimostrato a me stesso da dove ero partito nemmeno tre anni prima, quando pesavo quasi 100 chili e avevo comprato per caso un paio di scarpe da corsa.
Ricordo ancora la mia prima corsa lunga poco più di 200 metri terminata con le mani sulle ginocchia in preda all’affanno e al caldo. In quel momento mi sono detto: “Ma davvero sono ridotto così? Ma davvero non hai niente da dimostrare a te stesso? Tu puoi valere di più!”
Ho cominciato a correre ogni giorno, senza sosta, tra le risate e le battute dei miei amici, lo stupore di mia moglie e della mia famiglia. Tutto quello scetticismo su di me mi caricava, mi dava la voglia di spingermi sempre più oltre. Correvo ad oltre 7 minuti al km, eppure mi sembrava di volare! Ricordo ancora la gioia di quando chiusi i miei primi 5 km, braccia alzate e urla al cielo. Non ci credevo. La corsa mi stava dicendo che potevo essere differente, che potevo ambire ad altro, mi stava plasmando, sentivo dentro di me la voglia di essere come tutte quelle persone che correvano, di cui ero follemente innamorato. Vedere quel gesto atletico, testa in su, petto in fuori, gambe sciolte e bramose di percorrere sempre più metri, l’aria sul viso, la mente libera e il cuore pulsante, mi avevano da sempre affascinato.
La corsa mi stava dicendo che era arrivato il mio momento.
Mi sono posto subito un obiettivo, fondamentale per me per avere le giuste motivazioni, concentrare ogni forma di pensiero positivo e ogni energia per creare adrenalina ed endorfine utili alla gara. La mia prima gara è stata la Roma Ostia ad ottobre 2021 terminata con un tempo di 1 ora e 48 minuti.
Di lì a poco ho sentito la necessità di conoscere delle persone che condividessero la mia passione, che potessero consigliarmi e motivarmi ulteriormente. Per caso e per fortuna ho incontrato gli Albarunners, con cui mi sono sentito sin da subito amico da una vita, sono entrato nella calorosa famiglia del Camelot e ho cominciato a fare delle gare, una dietro l’altra senza una logica determinata ma solo per il gusto e la gioia di correre. Avevo degli amici con cui condividere una passione, con cui mi divertivo, ogni gara era un carico di emozioni mai vissute fino ad allora e il volto fiero ed orgoglioso dei miei figli quando mi vedevano con una medaglia al collo mi rendeva fortunato e vivo!
Una carica interiore indescrivibile ed incontenibile.
Ma in tutto questo correre piacevole, felice e spensierato, non avevo fatto i conti con i tempi di recupero del mio corpo, a cui adesso riservo la massima importanza.
In oltre quarant’anni avevo fatto una vita ultra sedentaria ed in poco più di un anno e mezzo ero passato a percorrere la mia prima maratona a Roma in 3 ore e 36 minuti a marzo 2022. Come in una foto, mi vedevo al traguardo con le braccia al cielo ma non sentivo tutti i messaggi che il mio corpo mi mandava. Ho fatto altre gare con dolori ovunque, entravo ed uscivo da studi medici, prendevo antinfiammatori e anche cortisonici, facevo infiltrazioni, radiografie, risonanze…e nel frattempo mi prefissavo altri limiti da raggiungere e superare, inconsapevole del fatto che il mio corpo avrebbe detto basta di lì a poco. Infatti, a luglio 2022, dopo un lavoro di ripetute su ritmi non consoni al mio fisico, ho riportato un infortunio che mi ha messo fuori uso per oltre due mesi.
Dopo questo periodo, avevo voglia di riprendermi, di correre, ma ogni volta che ricominciavo sentivo più dolore di prima. Avrò sentito una miriade di pareri di ogni tipo, da dottori, specialisti, ecografi e fisioterapisti. Chi mi diceva che non avevo nulla, chi diceva che avevo il bacino fratturato, chi che avevo i tendini lesionati, addirittura chi mi diceva che probabilmente non avrei più corso!
Mi sono chiuso dentro di me. Ho deciso che dovevo isolarmi e sentire il parere più autorevole e sensato possibile, quello del mio corpo. Lui non aveva una diagnosi o una posologia da seguire, lui viveva alla giornata. Un giorno mi diceva che potevo correre e un altro che dovevo riposare e recuperare. Il recupero è alla base di tutto.
In quel periodo ho avuto tempo di pensare ai miei errori, a dove potevo migliorare e a che tipo di percorso intraprendere. Ho cominciato come un bambino che inizia a camminare, che poi trova l’equilibrio giusto fino a correre felice verso le braccia spalancate della mamma.
Ho analizzato la mia postura, ho impostato un passo di corsa differente, più contenuto, più costante, più equilibrato e più rispondente ad un movimento naturale. Giravo per le strade con il metronomo in cuffia, non più la musica a farmi compagnia ma qualcosa che dettasse il passo e che lentamente mi entrasse nel cervello. In poco più di un mese avrei dovuto preparare una maratona, quella di Napoli, dove avrei accompagnato il nostro amico Gaetano, senza affanno, senza la ricerca del tempo, ma con la voglia di sentirmi nuovamente un maratoneta. Arrivai così al traguardo di quella maratona in volata, completata in 3 ore e 40 minuti, con tutta la grinta che avevo dentro, ero contento che l’infortunio era alle spalle.
Finalmente potevo riascoltare il rumore delle scarpe sull’asfalto, il mio respiro, la mente che mi diceva che era solo l’ultimo km, solo l’ultima ripetuta, senza alcun dolore, senza alcuna ansia, anche perché dovevo ottenere il mio personal best in maratona sotto le 3 ore e 30, dopo un mese a Firenze.
L’obiettivo era nella mia mente, la consapevolezza nel mio cuore e la forza nelle mie gambe. Nessuno poteva nuovamente fermarmi, soltanto me stesso.
Avevo un altro mese per rimettermi in gioco e ancora una volta riuscii nel mio intento. A Novembre 2022 scendo per la prima volta sotto le 3 ore e 30, fissando il cronometro a 3ore e 28 minuti. Mi sento orgoglioso di quanto fatto e mentre penso al bel risultato raggiunto e sono in pieno godimento, mi chiama Natale, il nostro coach, che mi dice: “Complimenti! Sono davvero contento del tuo impegno e del tuo risultato. Goditi questo momento, ma sappi che se ti alleni bene le 3 ore e 20 potrebbero starti strette!”. Lo ringrazio molto, quelle parole mi entrano in mente e nel cuore, danno sicurezza a me stesso. Finalmente dopo tanto tempo qualcuno stava credendo in me, potevo dimostrare ancora una volta che l’asticella si può sempre alzare per poi essere superata.
Non persi tempo, dovevo credere nella mia crescita, sapevo che c’era tanto lavoro da fare, ripetute, lunghi, salite, scatti, albe di mattina e luci di sera, non c’era spazio per i pensieri ma solo per la concentrazione, la voglia e la grinta di andarmi a prendere altri traguardi.
Ero a Milano da poco più di un mese, avevo appena fatto questa scelta di lavoro, non avevo la mia famiglia, gli abbracci dei miei figli, mi sentivo solo, ma solo la corsa poteva rendermi vivo e riempirmi quel tempo lontano da casa. Quanta fatica la mattina presto, con il freddo e la pioggia fuori, sotto le coperte fortemente incerto se rimandare o meno, ma ogni giorno sentivo una voce interiore sempre più insistente che mi spingeva ad alzarmi, mettermi le scarpe e macinare chilometri. Quanto mi gasavo ogni volta che tornado a casa sentivo i muscoli affaticati. Il potere della corsa era dirompente, non mi abbandonava mai.
Non vedevo l’ora di correre nuovamente, ogni settimana ero in trepida attesa del programma di Natale, di seguire le sue indicazioni e sentire i suoi giudizi, ascoltare i consigli del mio riferimento Nicola e di correre ogni domenica in ciclabile lasciando ogni forza e ogni respiro con il mio amico Antonio, fondamentale per me. Solo la corsa può regalarti quelle emozioni nella sofferenza. Quegli abbracci di fine allenamento, che carica. Non vedevo l’ora che arrivasse nuovamente domenica.
I risultati in allenamento, settimana dopo settimana, cominciavano ad essere sempre meglio, cominciavo ad avere una certa consapevolezza di dove volevo arrivare e cominciavo a pensare “Natale ha ragione, le 3 ore e 20 potrebbero starmi strette. Ecco la mia gara. Punto tutto su Milano!”.
Quella città mi ha sempre dato e tolto qualcosa, quella città è la città delle scelte, dure ma efficaci, quella città che mi ha visto arrivare spaesato dalla provincia e mi ha accompagnato fino al giorno della mia laurea e del primo lavoro, mi ha riempito la vita di amici fraterni ma mi ha tenuto lontano dagli affetti familiari, mi ha lasciato andare verso altre mete ma mi ha richiamato per darmi quella chance professionale che ho sempre cercato. Ci speravo anche questa volta, ero fiducioso che anche questa volta potevo prendermi altre soddisfazioni sotto la Madonnina.
Passa così l’inverno, arriva marzo e c’è la gara di casa, la Roma Ostia, la prima gara in assoluto a cui ho partecipato ad ottobre 2021. È il momento giusto per capire dove sono. Ogni settimana, al ritorno da Milano, riprendo la macchina da Eur Magliana e percorro la Cristoforo Colombo, studiando il percorso più e più volte, ma la chiave di interpretazione della strategia di gara me la da Nicola, faccio miei i suoi consigli. Chiudo la Roma Ostia in 1 ora e 29 minuti (passo medio 4:13 min/km), miglioro il mio PB di quasi 10 minuti rispetto all’anno prima e di quasi 20 minuti rispetto alla mia prima partecipazione. Mi sentivo una bomba pronta ad esplodere, ma bisognava rimanere con i piedi per terra, non avevo fatto ancora nulla.
Chiedo a Natale se posso fare ugualmente la maratona di Roma pur essendo solo due settimane prima di quella di Milano. Ci pensa su e mi dice: “Va bene, la fai come lungo pre-maratona, la tiri fino al trentesimo-trentacinquesimo chilometro, poi ti fermi, respiri e la chiudi molto lentamente, quasi passeggiando, visto che la tua gara è Milano”.
Arriva così la mattina del 19 marzo, l’orario di partenza è alle 8:00, il clima è perfetto con quattordici gradi, il cielo è velato, sulla linea di partenza dei Fori Imperiali volano sopra di noi le Frecce Tricolori, è un tripudio di adrenalina, la mente è libera e concentrata, sento lo sparo dello starter, mi fiondo davanti per avere strada libera e vado come un metronomo, chilometro dopo chilometro, ad ogni passaggio dei cinque chilometri guardo l’orologio e il passo medio non sale mai sopra i 4:25 min/km.
Sono un tamburo battente che detta il ritmo, non sento la minima fatica, ma solo la spinta incitante dei miei amici del Camelot, lungo il percorso e da casa, a seguire ogni mio passaggio in trepida emozione. Supero la salita della Moschea al trentesimo chilometro, in progressione senza calare di ritmo, come fossi sulle salite della mia Murgia. Mi dico altri cinque chilometri e poi lascio andare le gambe, ho fatto il mio lavoro, devo ascoltare i consigli del coach.
Supero il villaggio Olimpico, percorro via Flaminia e giungo sul lungo Tevere, abbasso il ritmo, mi fermo e cammino per 11 secondi, riprendo a correre sui 4:50/55 min/km, mi godo la bellezza di Roma, cantando e sorridendo lungo il tratto finale che va da Largo Augusto a Via del Corso, verso Piazza del Popolo e poi Piazza di Spagna. Guardo il cronometro, mi rendo conto che forse potevo ugualmente fare un grande tempo ma continuo a pensare alle parole di Natale, ad un possibile affaticamento, ai muscoli che dovevano essere preservati per Milano, alzo però un po' il ritmo senza esagerare. Sfilo per Piazza Navona, poi Largo Argentina, lungo via del Plebiscito ci sono altri amici del team Camelot ad incitarmi, non riesco a sentirli tra le urla di chi è a bordo strada, un brivido mi attraversa la schiena, ricordo l’anno prima, alla mia prima maratona in assoluto, quella di Roma, chiusa in 3 ore e 36 minuti, in quello stesso tratto arrancavo a fatica al culmine di una maratona portata avanti solo con la testa e tanta grinta, mentre in quel momento ero sorridente e ancora carico di energia, giro per Piazza Venezia, il percorso si apre su una grande distesa di sanpietrini, ammiro la grandezza dell’altare della Patria, che sembra incitarmi verso il traguardo sui Fori Imperiali e il Colosseo sullo sfondo. Un’emozione indescrivibile, il cuore pulsa e sembra scandire la bellezza di quell’attimo, vedo il cronometro, sono sotto le 3 ore e 10, mi arriva una scarica di adrenalina e comincio a correre sempre più forte, arrivo al traguardo con le braccia alzate e il cronometro che si ferma a 3 ore 10 minuti e 2 secondi. Non ci credo nemmeno io, penso a quegli 11 secondi in cui ho camminato, ma sono orgoglioso di me e della mia consapevolezza atletica, del resto ho seguito il consiglio di colui che mi ha portato a quel livello, gli devo essere riconoscente e quel tempo fermato poco sopra le 3 ore e 10 è una forma di rispetto verso di lui.
Indosso la medaglia, guardo l’orologio e continuo a non crederci. Prendo il telefono e leggo tutti i messaggi degli amici che mi avevano seguito lungo il percorso, che si esaltavano ad ogni mio passaggio, leggevo il loro coinvolgimento, i loro complimenti, non mi sembrava vero. Nel mio piccolo avevo donato emozioni. Mi sentivo orgoglioso di avere degli amici come loro. Capisco perché durante il percorso non avevo avuto cedimenti e stanchezza, avevo loro a sorreggermi e sostenermi. Ancora una volta la corsa continuava a riservarmi sensazioni uniche.
I giorni seguenti passano scanditi con un unico pensiero in mente, quello di migliorarmi e di rendermi soddisfatto del lavoro svolto. Ogni mattina apro gli occhi prima della sveglia, fisso il soffitto e penso alla gara, focalizzo il percorso, studio la mia strategia, analizzo il passo da tenere, memorizzo i tempi dei passaggi ad ogni 5 chilometri, immagino il traguardo…ho una voglia pazzesca di correre a Milano!
Non passa giorno che i miei amici Antonio e Nicola, non mi chiamino o mi mandino un messaggio per sapere come sto, per incitarmi, per sostenermi, per consigliarmi, mi sento carico. Il giorno della resa finale è prossimo. Mi sento un vulcano di endorfina pronto ad eruttare, ma rimango concentrato e determinato.
Arriva così il giorno della gara, partenza prevista per le 9:00, temperatura sui 15 gradi, il cielo è velato ma si prevede il sole verso le 11:30, sono teso, arrivo sulla griglia di partenza, gli altoparlanti davanti allo starter mettono ad alto volume “Thunderstruck” degli ACDC, chiudo gli occhi, mi carico, lo starter dà il via, parto velocissimo, il primo chilometro lo chiudo a 4:07 min/km, ho la strada libera davanti a me, abbasso il ritmo e mi attesto su un passo vicino a 4:20 min/km. Sapevo che stavo spingendo oltre quello che mi ero prefissato, ma sentivo che le gambe andavano e quindi non mi preoccupavo. Passiamo sotto il Duomo, davanti al Castello Sforzesco, attraverso Parco Sempione, dove mi alleno ogni giorno, proseguiamo verso Citylife e arriviamo al passaggio della mezza maratona sotto San Siro.
Guardo il cronometro, sono a 1 ora 32 minuti con un passo medio di 4:23 min/km, perfettamente in linea con quanto prospettato. Ammiro la Curva Nord, penso a tutte le domeniche passate su quegli spalti, a quando inneggiavo a campioni come Ronaldo, Baggio, Vieri, Milito, Zanetti, alle vittorie esaltanti e alle sconfitte dolorose, alzo il dito al cielo sotto lo stadio e un fotografo immortala quell’attimo, sento che anche io posso essere campione quel giorno, guardo l’asfalto davanti a me e mi esalto. Continuo nella mia corsa senza fatica arrivando al 28° chilometro ancora in linea con il mio passo ma, come previsto, il sole comincia ad essere sempre più pieno, il cielo diventa sgombro di nuvole e cominciano a salire le temperature. D’improvviso al 30° chilometro sento le gambe prive di forza, spingo il più possibile ma non vado sotto il passo di 4:35/4:40 min/km. Il caldo sta prendendo il sopravvento, ad ogni ristoro prendo due bottiglie d’acqua, una per bere ed una per docciarmi, vedo il mio obiettivo che pian piano mi scivola via, chilometro dopo chilometro.
Fino al traguardo penso ad ogni chilometro come se fosse una ripetuta in ciclabile, sento la voce di Antonio che mi incita, mi da forza. Va bene, probabilmente non stava andando come me lo ero immaginato, ma dovevo chiuderla al meglio delle mie possibilità, spingo sempre il più possibile, il muro delle 3 ore e 10 che avrei dovuto sgretolare si stava ergendo davanti a me, lavoro di testa perché le gambe non ne hanno più.
Sono a poco meno di un chilometro dall’arrivo, sul ciglio della strada ci sono loro, i miei figli, mia moglie, i miei amici del Camelot, fanno tutti il tifo per me. Sono felice, mando baci volanti a tutti per ringraziarli di tutto quell’affetto che hanno per me. Giro prima del traguardo davanti a Porta Venezia, sono al 42° chilometro, mancano gli ultimi 195 metri, li percorro senza quella gioia che avevo in ogni mio fine gara, per la prima volta le mie braccia non sono rivolte verso il cielo, per la prima volta in gara non mi sono migliorato rispetto alle volte precedenti. Il cronometro si ferma a 3 ore 11 minuti e 47 secondi con un passo medio di 4:33 min/km.
Passo a ritirare la medaglia, sono amareggiato, mi sento di aver gestito male la gara. Probabilmente senza tutto quel caldo sarei sicuramente sceso sotto le 3 ore 10. D’improvviso mi vengono in mente le parole che mi aveva detto qualche giorno prima Pino a commento del mancato personal best alla maratona di Roma. “Quando ce l’hai te la devi andare a prendere, senza calcoli e senza pensieri!”. Avevo perso la mia occasione. Quanta esperienza. Proprio quella che mi era mancata in gara, ma che sono sicuro mi tornerà utile per le prossime gare. Del resto ogni fatica non è mai sprecata.
Subito dopo la gara sento i miei amici Antonio e Nicola, mi confronto con loro, sento il loro rammarico ma mi fanno forza e si complimentano con me. Chiudo con loro, aspetto solo la chiamata di Natale, che arriva puntuale. Mi scuso con lui, mi dispiace non avergli dato gratitudine per tutta la dedizione che mi aveva riservato. La sua chiamata mi rassicura, mi conforta e si congratula anche lui. Quel giorno avevano fallito di oltre 2 minuti anche i top runner, era normale che io da amatoriale perdessi 4 minuti rispetto al mio obiettivo. Ma la delusione è troppa, la mente è priva di motivazione. Le successive due settimane corricchio per non pensarci, ma correre senza un obiettivo non fa per me.
Per caso leggo le parole di Kipchoge, d’improvviso il fuoco dentro di me riprende ad alimentarsi, sono pronto per ripartire dai miei sbagli, migliorarmi e dare sempre il massimo. Finalmente mi sento nuovamente un runner pronto per correre con un unico obiettivo: raggiungere nuovi traguardi che ti riempiono interiormente. Perché è proprio questa la bellezza della corsa, ogni corsa ti dona sempre qualcosa di nuovo, intimamente ed in modo assoluto.
Ogni corsa con gli amici, ogni allenamento intenso, ogni gara, sono lì che ti aspettano e ti invitano a porti nuovi limiti, raggiungerli e superarli, di continuo, come nella vita. Bisogna solo credere che il limite non è una forma di debolezza ma un motivo per migliorarti. È proprio questa grande metafora con la vita che mi rende sempre più orgoglioso di me stesso per quanto mi prefiggo, raggiungo e supero con la forza e la grinta che tutti i runner hanno.
Crederci sempre, fino in fondo, contro tutto e tutti. Quando qualcuno ti dirà che non vali, sarà quello il momento in cui dimostrerai quello che sei, trovando la forza che è dentro di te per raggiungere il prossimo traguardo. Daje Camelot.